All'estero sono soliti dire: Italians, Masters of Leather.
E in effetti è così.
Il settore della pelle è uno degli assi portanti del sistema moda italiano. Sono 1180 le aziende che operano nel settore della concia in Italia, con 17.515 addetti e un fatturato di 3.5 miliardi di euro. Sono dati prelevati dal report di sostenibilità della UNIC, l’Unione Nazionale Italiana Conciatori, che ha fatto una mappa accurata dell’impatto ambientale della concia di casa nostra. In Italia, a valore si concia il 63% della produzione europea e il 23% del prodotto a livello mondiale. Numeri importanti, di un settore che è uno dei pilastri del Made in Italy.
La concia italiana è inoltre, da sempre, un tipico esempio di successo del modello distrettuale che tradizionalmente caratterizza l'economia manifatturiera nazionale. La quasi totalità della produzione (oltre il 95%) si concentra infatti all'interno di comprensori produttivi territoriali, che nel corso degli anni hanno sviluppato le loro caratteristiche peculiari in termini di prodotto e processo.
Ma la pelle...è sostenibile?
Non è una risposta facile da dare. Quando si tratta di sostenibilità è assai complicato delineare dei tratti netti. Tra pro e contro, quello che è certo è che c’è ancora molta strada da fare per trovare alternative a questo materiale che garantiscano le stesse performance e lo stesso utilizzo, ma con un minore impatto ambientale.
Qualche brand l’ha tolta dalle proprie collezioni, altri brand si stanno impegnando per rendere la sua produzione più sostenibile.
In definitiva, la pelle é (almeno apparentemente) controversa!
In questo post cercherò di fare ordine e di offrirti il mio punto di vista.
Partiamo da zero: un materiale può dirsi ecosostenibile se é possibile dimostrare che tanto le materie prime, quanto il processo produttivo e il suo fine vita hanno un impatto limitato o nullo sull'ambiente.
In buona sostanza, per affermare che la pelle è ecosostenibile dovremmo poter identificare nel modello di gestione della sua supply chain i tratti fondamentali dell'economia circolare.
Parliamo di materie prime: oggi l’industria italiana della pelletteria lavora, in oltre il 99% dei casi, pelli che sono un sottoprodotto della macellazione: se la pelle non venisse conciata dovrebbe essere eliminata in altri modi, probabilmente più impattanti, dopo che la carne degli animali è stata utilizzata per la macellazione.
Dunque, almeno In termini di raw materials, la pelle rappresenta una best practice da tenere a riferimento, dato che utilizza materiali che sarebbero altrimenti destinati alla distruzione!
E i processi produttivi?
Un ciclo manifatturiero ecosostenibile privilegia "l'uso delle energie rinnovabili, elimina l’uso di sostanze chimiche tossiche, che compromettono il riutilizzo e mira all’eliminazione dei rifiuti attraverso la progettazione ad alto livello di materiali, prodotti..." (Ellen McArthur Foundation, 2012).
Il consumo di acqua e l’utilizzo di sostanze chimiche sono due aspetti importanti del processo di concia, per il loro notevole impatto.
La concia è il processo mediante il quale la pelle animale viene resa imputrescente attraverso trattamenti chimici che la rendono un bene durevole.
Tale processo può avvenire per mezzo di due categorie di sostanze: quelle vegetali e quelle minerali.
L’80% della concia effettuata a livello mondiale avviene per mezzo di un prodotto minerale specifico che è il cromo. L’alternativa vegetale più diffusa è la concia al tannino.
Ho fatto un bel po' di fatica a trovare dei dati consistenti riguardo il consumo di acqua e di agenti chimici per produrre un chilo di pelle.
Ho trovato un interessante report di UNIC, per l’anno 2019-2020, riguardo l'industria italiana.
Ebbene, per realizzare 1 mq di pelle sono necessari:
-1,90 kg di agenti chimici
-103 litri di acqua
-0,94*10-3 TEP (tonnellate equivalenti di petrolio di energia). Nel sistema pelle nazionale, il 14% di questa energia è autoprodotta da impianti di cogenerazione
Oltre alla pelle lavorata, si producono i seguenti prodotti “indesiderati”:
- 1,75 Kg di rifiuti, fra cui:
o 0,42 Kg di acque reflue di concia
o 0,37 Kg di fanghi
o 0,45 Kg di cascami, ritagli, polveri
o 0,50 Kg altri rifiuti specifici di settore, imballi
- 1,24 Kg di sottoprodotti alimentari (SOA)
- 1,98 Kg di equivalente CO2
- 44 g di emissione COV (solventi)
In questa babele di numeri, il dato interessante a livello nazionale, è questo: il 73,2% dei rifiuti viene recuperato, riducendo la frazione destinata a smaltimento a fanghi e residui di verniciatura, materiali assorbenti, imballaggi contaminati o poli materiale non recuperabili, inerti e poche altre tipologie. Gli scarti già conciati trovano impiego, opportunamente trasformati, come fertilizzanti, quando non come materia prima per la realizzazione di materiali per calzatura e pelletteria (rigenerato in fibre di cuoio), cartotecnica (carta) e colle biologiche. Gli scarti di finito (almeno una parte), possono essere utilmente riutilizzati per articoli di piccola pelletteria o costituire, opportunamente sminuzzati, un materiale base per produrre fertilizzanti o materiali di riempimento per svariati utilizzi.
In aggiunta, i fanghi delle conce al tannino sono recuperabili al 100%, e utilizzabili come fertilizzanti.
Riguardo i SOA, essi vengono recuperati e trasformati in biostimolanti e fertilizzanti per agricoltura biologica; collagene, proteine e gelatine per svariati impieghi nell’industria alimentare e nella nutriceutica (per la produzione dei cosiddetti super foods, ad esempio), nella cosmesi e nella farmaceutica ed edilizia.
Parliamo di acqua: nel processo conciario, almeno per la realtà italiana, oltre il 93% delle acque approvvigionate è poi scaricato come refluo di processo.
L’acqua durante il suo passaggio in conceria si carica di sostanze chimiche non assorbite dal pellame o generate dalle reazioni occorse negli impianti (oltre che dei residui rilasciati dalle pelli stesse), quindi, per riportare la loro caratterizzazione chimica a livelli accettabili prima della loro restituzione all’ambiente, i reflui generati devono essere opportunamente depurati.
Per evitare impatti sull’ecosistema, i distretti industriali conciari si avvalgono da tempo di impianti di trattamento reflui all’avanguardia; in questo senso i depuratori svolgono un ruolo indispensabile per garantire l’attività produttiva delle aziende.
E' necessario inoltre far presente che l’industria italiana ha un approccio avanguardistico alla tematica della gestione delle acque, data l’esperienza ultra-quarantennale della materia, a partire dalla Legge Merlini degli anni ’70.
…Mi dirai...ok, ti sei documentato, hai fatto i compiti a casa. Mi devo sentire in colpa se compro una borsa di [AGGIUNGI IL TUO BRAND PREFERITO] ?
La risposta è che...dipende da te!
In questo post ti ho raccontato come l’industria della pelle italiana stia concentrando i propri sforzi per presidiare al meglio e in un’ottica di circolarità tutti i processi di gestione del cuoio...ed è molto vicina a chiudere il cerchio!
Riguardo il fine vita...beh…quello dipende dal tuo impegno come consumatore responsabile orientato alla sostenibilità.
La pelle è un materiale estremamente longevo, con caratteristiche meccaniche finora ineguagliate da qualsiasi alternativa sintetica; il suo look evolve nel tempo e “matura” assieme a te. Inoltre, nuovi business model dei brands del lusso come il second hand e il renting ti permettono di accedere a modi di utilizzo impensabili fino a pochi anni fa!
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